domenica 26 giugno 2022

The Battleship Island


Cari prigionieri di guerra, 


il film che vi presentiamo oggi è del 2017 per la regia di Ryoo Seung-wan, regista non nuovo alle nostre pagine, per averci regalato capolavori come Crying Fist e The Berlin File. A questo si aggiungono le sue innumerevoli sceneggiature per altre decine di titoli prestigiosi in cui ha collaborato alla sceneggiatura/adattamento. 


A questo giro, gli è tocata una bella responsabilità. Con un budget da 21 milioni di dollari, doveva dirigere alcuni dei più grandi attori del cinema contemporaneo, ma, soprattutto, doveva mettere il dito nella piaga su un argomento di grande attualità e che ancora oggi non si è completamente risolto. Ma andiamo con ordine. 

***ATTENZIONE***

Mi è partita la mano perchè l'argomento mi affascina, quindi se non avete voglia di leggere il riassunto della storia dell'isola, saltate ai prossimi asterischi. 

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L'isola di Ha, o più semplicemente Hashima (-shima è il suffisso con cui i giapponesi indicano le isole) è una piccola isola a 15 Km da Nagasaki. Solo in quel distretto se ne contano altre 504, per lo più disabitate. Il motivo per cui è diventata un sito di interesse nazionale, sta nel fatto che sotto di essa si celava un imponete giacimento di carbon fossile naturale.  


Dopo la scoperta del giacimento di carbone nel 1810, l'isola fu comprata in blocco dal gruppo Mitsubishi nel 1887. Della dimensione di appena 16 Ettari, la superficie è stata espansa fino a raddoppiarla con imponenti colate di calcestruzzo e muri di fortificazione per limitare i danni di eventuali terremoti, conseguenti tzunami e delle frequenti tempeste che si verificano in quella zona. 


Inizialmente vi è stato costruito un enorme palazzo di sette piani per accogliere i minatori e nel suo periodo di attività, che copre dal 1890 al 1974, sono state aggiunte strade, piazze, un bagno pubblico, una scuola, un ospedale, un centro di ritrovo, un cinema, una sala pachinko, giardini e negozi e tutto quello che serviva per poter accogliere una popolazione stimata intorno alle cinquemila persone, tra i lavoratori e le loro famiglie. 


Alla fine dei lavori, l'isola si guadagnò il soprannome di Gunkanjima (Battleship - nave da guerra) per aver assunto la forma allungata di una nave, tanto da meritarsi un bombardamento dell'aviazione americana. In particolare si diceva che somigliasse all'ammiraglia della flotta giapponese, la fregata Tosa, un bestione da quaranta tonnellate che tuttavia non fu mai terminata, in favore di nuovi e grandiosi progetti come la celeberrima Yamato e sua sorella Musashi, che pesavano quasi il doppio. 


Su Hashima si scavava forte. Chilometri sotto il livello del mare. Si stima che siano stati estratti oltre quindici milioni di tonnellate di carbone. Una vera manna per l'industria giapponese, che era nel pieno della sua più grande rivoluzione tecnologica. 


Negli anni Sessanta, tuttavia, l'interesse per il carbon fossile era passato in secondo piano in favore di una nuova forma di energia più adatta alle industrie moderne: il petrolio. La miniera perse lentamente la sua importanza, fino ad essere chiusa definitivamente. Il 20 aprile 1974, gli ultimi abitanti lasciarono l'isola e nessuno vi fece più ritorno per trent'anni. 


Nei primi Duemila, ci si è resi conto dell'importanza storica di un sito incontaminato e nonostante il divieto formale di attraccare sull'isola (data la presenza di pozzi, gallerie ed edifici fatiscenti), cominciarono a circolare filmati più o meno amatoriali di visitatori che la esploravano senza permesso. In particolare, il reporter svedese Thomas Nordanstad, registrò un filmato nel 2002 che è disponibile qui. Erano pochi mesi prima che il governo emettesse un'ordinanza restrittiva che prevedeva un mese di carcere e addirittura la deportazione per chi fosse sbarcato sull'isola. Il regista e la sua troupe furono traghettati e passarono la notte nel piano terra della scuola, in compagnia di un uomo che ha passato lì la sua infanzia. 


Nel 2009, dopo diversi sopralluoghi ed interventi di consolidamento, l'isola fu riaperta al pubblico. Per lo più una passeggiata di un centianio di metri, ma il successo fece ben sperare in un restauro parziale delle strutture che permettesse di visitarle. Si immaginarono giardini, negozi e ristoranti, un molo per l'attracco delle barche e addio al sito incontaminato. Quando alla fine... il colpo di genio. Proporre il sito all'Unesco. 


L'unico modo per poter finanziare il restauro dell'isola come se fosse un museo e al tempo stesso garantire che la memoria di fasti passati durasse per le future generazioni. Ed è a questo punto che i coreani si sono incazzati. Sì, perchè se è vero che Hashima è stata un'importante molla per lo sviluppo industriale del Giappone, è anche vero che durante la seconda guerra mondiale, è stata un inferno. 


I rapporti dei coreani con i vicini giapponesi sono sempre stati tesi. Da secoli i giapponesi facevano incursioni sulle coste coreane per depredare, uccidere e deportare le popolazioni pacifiche che ci abitavano. Per quasi un millennio, l'influenza cinese aveva fatto scudo ad una vera e propria invasione, poi verificatasi quando l'impero cinese aveva i suoi guai in casa. Già dal 1590, il giappone cercò a più riprese di allungare le mani sulla ricca penisola dei loro vicini, ma la conquista definitiva avvenne proprio nel 1910, quando la Corea fu annessa al Giappone a seguito di un trattato unilaterale che non era stato nemmeno sottoposto all'imperatore Sunjong, che fu deposto e costretto agli arresti domiciliari fino alla fine dei suoi giorni. L'occupazione giapponese in corea sarebbe andata avanti fino al 15 agosto 1945, quando l'imperatore del Giappone firmò la resa incondizionata dopo la fine della seconda guerra mondiale. 


Ma più che un'occupazione, era un'annessione. Il territorio coreano fu considerato a tutti gli effetti giapponese. Gli invasori presero possesso dei palazzi reali e li modificarono secondo i loro canoni. Assorbirono le grandiose capacità degli artigiani locali, specialmente nel campo delle stoffe e delle ceramiche, famose in tutto il mondo. Diedero il via a una massiccia "correzione" dei trattati storici e dei resoconti dettagliati dei libri degli imperatori passati, eliminando le parti che denunciavano i misfatti dei giapponesi contro l'impero coreano o semplicemente li mettevano in cattiva luce. La scuola fu riformata sul modello giapponese e la lingua coreana fu dichiarata illegale. Ogni movimento che inneggiava all'indipendenza, fu represso nel sangue.


Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, la situazione per i coreani si inasprì. Erano considerati dei parassiti, sottoposti ad ogni forma di angheria, vessazione e tortura. I lavoratori giapponesi richiamati al fronte, avevano lasciato le fabbriche e le miniere vuote. Per ovviare al problema, i posti vacanti furono offerti ai coreani. Come se fosse un favore. Quello che ne seguì, fu una deportazione di massa e un'escalation di disumanità che nulla aveva da invidiare a quello che hanno fatto i tedeschi con i campi di concentramento. 


Al tempo, fare il minatore ad Hashima non era certo una passeggiata. Si scavava a mano, in un ambiente che raggiungeva temperature superiori ai 40 gradi centigradi, con l'umidità al 100%. I polmoni si riempivano di carbone e sale marino. L'asfissia era sempre dietro l'angolo. A questo si aggiungevano i frequenti crolli, allagamenti e fughe di gas. Avere del personale a fondo perduto, doveva essere un bel vantaggio! E infatti si stima che durante gli anni della seconda guerra mondiale, migliaia di lavoratori cinesi e coreani, abbiano perso la vita nel sottosuolo dell'isola. Nessuno si è preso la briga di contarli. Tanto erano solo prigionieri. 


A questo si aggiunge il traffico di donne e bambini a scopi sessuali, pratica già in voga prima della guerra, ma che durante il conflitto assunse livelli di organizzazione ed efficienza disumani. 


È comprensibile, quindi, che quando il governo coreano nel 2009 ha appreso della notizia di inserire un sito che nel periodo buio della Seconda Guerra Mondiale è stato a tutti gli effetti un campo di concentramento, parlandone come di un importante testimonianza della magnifica rivoluzione industriale giapponese del ventesimo secolo, si sono opposti con veemenza. In particolare per Hashima, ma su 22 siti presentati quell'anno, almeno 7 erano stati teatro di lavori forzati, morti sul lavoro e malnutrizione per migliaia di civili coreani e cinesi. 


Le proteste sottolineavano il fatto che riconoscere quei siti "violerebbe la dignità dei sopravvissuti ai lavori forzati, nonché lo spirito e i principi della Convenzione dell'UNESCO" e che "i siti del patrimonio dell'umanità dovrebbero essere di eccezionale valore universale ed essere accettabili da tutti i popoli di tutto il mondo"


La risposta del governo giapponese fu abbastanza piccata, sottolieando che in quei luoghi non si poteva parlare di lavori forzati, cavillando sul significato della parola "forzati" e facendo incazzare ancora di più le vittime. 


Al momento dell'uscita di questa pellicola, dietro promesse mantenute solo parzialmente dai giapponesi, la maggior parte dei siti sono stati inseriti nel patrimonio Unesco, ma la cosa non ha placato le proteste dei coreani, che hanno fatto quello che gli riesce meglio: un film. 


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FINE SPROLOQUIO

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Girato in meno di sei mesi, con un budget sufficiente per 5 film, questa pellicola riconferma le grandi doti di 

Hwang Jung-min che non sbaglia un colpo dai tempi di Shiri. Lui è un padre, un artista, un donnaiolo incallito, un eroe. Il personaggio non era per tutti, ma lui lo indossa come un guanto.

A fianco a lui, la piccola 

Kim Su-an che ricorderete per Hide and seek, Coin Locker girl, Memories of the sword, Train to Busan e The net. Carinissima, viziata, capace di farci stringere il cuore con le sue espressioni. Canta e balla benissimo, tra l'altro.

So Ji-sub, che ricorderete in Rough cut. Un cattivo dal cuore d'oro. Semplicemente adorabile!

Song Joong-ki, che ricorderete per A Frozen Flower, è un agente infiltrato del movimento per l'indipendenza coreana.

Lee Jung-hyun, che sinceramente ho visto solo nell'infame sequel di Train to Busan, ma qui dimostra di saper recitare alla grande se lavora con le persone giuste. Una donna che ha visto il peggio che l'umanità può offrire, ma che trova ancora la forza di sperare nel futuro. 


La trama è una sorta di rivalsa immaginaria del popolo coreano contro un vero e proprio genocidio. Un piano rocambolesco per sfuggire da una struttura-roccaforte in mezzo al mare. Un piano disperato, insomma. Poco credibile, poco storico, molto intriso di retorica nazionalista da due soldi. Ma è proprio dietro questa malcelata frustrazione, che posiamo capire quanta rabbia si sia accumulata dentro ogni coreano, la cui storia è sempre stata decisa a tavolino dai più forti, in attesa di un riscatto che ancora aggi non si vede all'orizzonte. Da coreani che diventano giapponesi di serie B, a coreani usati come scudo per separare i paesi comunisti da quelli capitalisti, non è che ci sia tutta questa rivalsa. E loro lo sanno. La sentono la rabbia per i loro fratelli che sono diventati nemici, ma verso i quali non riescono a provare odio. Non lo diranno mai, ma poi esce al cinema un film come questo e in una scena un po' dozzinale in cui con un plongè drammatico, una bandiera del Giappone viene tagliata in due, ecco che tutti si alzano in piedi e applaudono commossi. 


Con un sapiente uso di scenografie ispirate all'isola (naturalmente non si poteva girare in loco!) e momenti divertenti, è un film pieno di azione, suspanse, personaggi complessi. Ryoo seung-wan si riconferma un maestro del genere Action, con una grande disinvoltura nell'uso della camera e della violenza. Davvero non rimpiangerete i 132 minuti della sua durata. 


Un grazie a DeepWhite999 per averlo tradotto!


TRAMA: Lee Kang-ok (Kwang Jung-min) è un famoso musicista che lavora per gli alti ufficiali del governo giapponese in Corea. Furbo e dotato di grande carisma, riesce a condurre una vita decente per sè e la sua band, di cui fa parte anche la sua figlioletta So-hee (Kim su-an). Per aver fatto adirare un uomo molto potente, viene deportato nella miniera di Hascima. Inizierà per lui una dura lotta per la sopravvivenza e la riconquista della libertà. 

Disponibile: no

Sottotioli nel nostro fansub

Buona visione. 



lunedì 2 maggio 2022

Stop

 

Cari immobili, 

dopo lunga assenza ci presentiamo di nuovo come se niente fosse e vi proponiamo un film che ha il gusto amaro della sconfitta. Stiamo parlando di Stop, il film perduto di Kim Ki-duk

Una sconfitta perchè abbiamo aspettato per anni che uscisse una versione con un audio e un video di buona qualità, ma alla fine lo si trova dappertutto in queste condizioni: sottotitoli impressi in coreano (la lingua originale è il giapponese) e un orribile voice over russo. Siete avvisati, se volete continuare ad aspettare, magari nel 2070 faranno un cofanetto con tutti i 24 film per celebrare il cinquantenario della sua morte. Noi ce lo siamo visti così. Ne valeva la pena.

Il grande Kim è da sempre il regista cardine di questo blog e della nostra community. Recentemente scomparso in Lettonia a causa del Covid19, ci ha lasciato un totale di 24 film da regista che lui considerava la sua filmografia ufficiale (tanto da numerarli maniacalmente) e un'altra decina scritti da lui (in alcuni casi senza nemmeno farsi inserire nei credits) o prodotti. 

Stop in questa lista numerata si colloca quart'ultimo. Presentato nel 2015 al festival Karlovy Vary nella Repubblica Ceca, ha fatto storcere il naso a tutti i presenti e da lì non è più uscito. Non se n'è parlato più. Si sarà pentito? Gli attori (Natsuko Hori e Tsubasa Nakae) gli avranno fatto causa per danno alla carriera? Non lo sapremo mai. 

Quello che sappiamo è che se siamo qui oggi, è perchè in fondo noi siamo i suoi fan più sfegatati. Siamo le bimbe di Kim Ki-duk! Lo abbiamo amato dai primi fotogrammi sgranati di Crocodile, lo abbiamo seguito in quell'evoluzione dei cattivi che ci ha portato a personaggi mitici come i villain di Bad Guy o Ferro3, i personaggi femminili incredibilmente profondi in Samaritan Girl, Birdcage Inn e The Bow, lo abbiamo seguito nella sua parabola mistica iniziata con Spring, Summer, Fall Winter... and Spring e nella crisi spirituale che ha portato sugli schermi Arirang. 

In tutto questo, Stop ha la sua importanza perchè secondo me è il seme da cui sono nati The Net e Human Space, Time and Human. Una metafora nella metafora. Una storia accattivante, girata velocemente, senza badare alla forma, proprio come ai tempi di Amen o dell'ultimo Dissolve. Lo possiamo vedere fin dalle prime scene. Tizi che fanno tremare l'arredamento per simulare il terremoto. Mio cugino con trentamila lire...

Il punto è che la gente ha storto il naso a vedere questo film perchè era ed è esteticamente brutto. Volutamente. Girato in fretta e senza cura dei dettagli. Parla degli incidenti nucleari di Fukushima e Chernobyl senza cognizione di causa, con personaggi che si contraddicono, cambiano idea, brancolano nel buio delle loro opinioni cangianti. Proprio come siamo noi nel mondo reale. Ci fissiamo con cose inutili, prendiamo una posizione e non ci schiodiamo nemmeno quando è chiaro che abbiamo torto marcio. 

Non stiamo guardando un documentario sui pro e contro dell'energia nucleare. Stiamo guardando uno specchio in cui ci siamo noi, la nostra società, il nostro modo di porci davanti alle risorse, alla natura, al nostro desiderio inappagabile di abbuffarci di qualsiasi cosa ci faccia stare bene... fino a stare male. È già successo per Time: gli spettatori spesso si lamentavano del fatto che un chirurgo plastico non farebbe mai tutti quegli interventi estetici, invece che riconoscere un espediente narrativo per dire tutt'altro. Gente che fissa il dito mentre il saggio indica la luna.

Poi possiamo anche discutere dei risultati ottenuti al di là delle intenzioni. Su quanto sarebbe potuto essere più incisivo, più accattivante, più tutto, ma ricordiamoci che sarebbe stato mille volte più facile per un regista del calibro di Kim Ki-duk continuare a battere il filone d'oro dei suoi più famosi successi e fare film fotocopia e vivere felice fino alla fine dei suoi giorni. Invece ha scelto di mettere due idioti a segare un traliccio dell'alta tensione con un flessibile a batteria della Black&Deker. E niente gliene frega!

Grazie a DeepWhite999 per i sottotitoli. Seguiteci su Telegram!

TRAMA: Miki (Natsuko Hori) e Sabu (Tsubasa Nakae) sono una coppia giapponese che vive nei pressi della centrale nucleare di Fukushima. Nel momento dell'incidente nucleare Miki è incinta e dopo la loro fuga dalla città, si ritrovano a dover decidere su cosa fare del bambino che lei porta in grembo e che potrebbe essere stato esposto ad una dose di radiazioni sufficiente a trasformarlo in un mostro. Tra continue indecisioni e cambi di idea, subiranno le pressioni di misteriosi agenti governativi e prenderanno decisioni estreme. 



Buona visione.